venerdì 22 giugno 2012

L'internazionalizzazione è un must!




Chi è chiuso nella gabbia di una sola cultura, la propria, è in guerra col mondo e non lo sa”. 
Robert Hanvey

In una società sempre più multietnica come la nostra, l’apprendimento della lingua inglese è molto importante, per non dire davvero indispensabile. Che lo si voglia o meno, l’inglese è diventato la lingua più utilizzata nel mondo del lavoro e nella comunicazione internazionale e persino coloro che oggi non ne hanno bisogno non potranno farne a meno domani.
L'uso fluido e corrente della lingua inglese diventerà a breve, se non lo è già diventato, una discriminante per l'accesso al mondo del lavoro: un vero e proprio gateway che respingerà chi non è capace di leggere, comprendere e parlare nella lingua di Shakespeare. O forse per meglio dire quella di Steve Job.  

Se non basta parlare del mondo del lavoro è bene sapere che anche il mondo accademico sta abbandonando l'italiano per globalizzarsi. Anche le università italiane hanno iniziato ad uniformarsi al resto d’Europa istituendo corsi di laurea in lingua inglese: all'inizio furono i master, poi i corsi di specializzazione e il secondo biennio, e adesso anche il corso triennale diventato ormai multilingue. La Bocconi vanta il primato per aver introdotto nel 2001 la prima laurea in International Economics and Management. A seguire il Politecnico di Milano e quello di Torino con un progetto integrato con l'Università Jiao Tong di Shanghai. La Sapienza a Roma ha puntato sull'inglese come lingua esclusiva per la laurea in Computer engineering. Oggi ci sono quindi diversi accordi con università straniere per il riconoscimento del doppio titolo.

Ricordate il film di Paolo Villaggio “Io no spik inglish”, dove l’attore genovese interpretava Sergio Colombo, impiegato di una compagnia assicurativa assorbita da una multinazionale inglese? Si vedeva costretto a partire per un corso totale di inglese ad Oxford, dove come compagni di banco aveva un gruppo di ragazzini delle elementari. Come possiamo evitare che i nostri figli, tra qualche anno, siano i “Sergio Colombo” del futuro? Anche perché forse non avranno nemmeno l'opportunità data all'impiegato genovese....

Una buona partenza sarebbe quella di cominciare ad insegnare le prime paroline e le prime semplici regole, ovviamente sottoforma di gioco, già negli asili nido e nelle scuole materne, cosa che peraltro avviene già all’estero ed in qualche struttura privata in Italia. Come si dice “chi ben comincia è a metà dell’opera”. Questo per inculcare già nella testa dei più piccini quanto sia importante, per il proprio bagaglio culturale e per il proprio futuro lavorativo, la conoscenza di un’altra lingua (oltre la propria) e dell’inglese in particolare.

Per prepararsi quindi al meglio al salto all’università le scuole italiane dovrebbero “insistere” con una sempre maggiore internazionalizzazione degli alunni. A tal proposito le scuole Faes dispongono di diversi progetti legati a questo tema.

Si comincia con l'asilo Aurora che insegna molto più che le semplici basi della lingua inglese ai bambini di età prescolare (ma su questo torneremo presto).

Col Centro linguistico Language Point poi, le scuole Faes di Milano hanno strutturato un'offerta integrata di corsi di lingua inglese per tutti gli studenti, seguendone lo sviluppo e l'intero percorso formativo, dalla Scuola dell'Infanzia alla Scuola Superiore; la sinergia tra i docenti madrelingua di Language Point e i docenti curriculari permette agli alunni di giungere all'acquisizione di specifiche competenze linguistiche, attraverso un intervento didattico mirato, con la possibilità di confrontarsi con una vera e propria lezione in lingua, esattamente come accadrebbe in una scuola estera.

In ultimo, in esclusiva per i Licei Argonne e Monforte di Milano, l'associazione diplomatici predispone un’attività formativa volta alla conoscenza del funzionamento delle Nazioni Unite: i ragazzi più meritevoli avranno così l’opportunità di recarsi al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York, dove discuteranno problematiche di carattere internazionale in qualità di rappresentanti del loro Paese.

Facciamo dunque in modo che i nostri ragazzi possano dire “Yes, I do speak english! And american too!"

2 commenti:

  1. Verissimo!E in piu, coloro che parlano altre lingue Europee hanno piu successo.
    Direi che in un mercato europeo non e solo necessario ma un obligo!

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  2. Grazie Mario, ogni conferma rafforza il messaggio.

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