sabato 30 giugno 2012

Una storia che parte da lontano





Reblogged da Vi Racconto diari di Caterina insegnante di musica a Cuneo.

Perché anche questa è scuola  



C’era una volta un ragazzo arrivato in Italia da un lontano Paese dell’Africa. Non si trattava di un Paese ricco e industrializzato, ma uno di quei villaggi dove le famiglie vivono ancora nelle classiche capanne di fango col tetto di paglia, con niente altro che qualche utensile e un giaciglio di foglie di miglio. E’ uno dei paesi più poveri al mondo, che finanzia la sua economia in gran parte grazie agli aiuti umanitari e dove il tasso di alfabetizzazione è molto basso.

Il ragazzo, che chiamerò Mustafà, in base all’età venne iscritto alla Scuola Media, ma il suo grado di istruzione non era sicuramente adeguato, senza contare che non conosceva l’Italiano. La sua classe era molto numerosa, ma i compagni lo accolsero bene e fecero subito amicizia con lui, nonostante il suo comportamento fosse spesso di disturbo al lavoro scolastico. I professori si arrabbiavano, ma poi cercavano anche di capire. Il poveretto era passato direttamente dall’estrema libertà del villaggio africano alla rigidità delle regole  scolastiche europee. “Devi stare seduto nel banco, alzare la mano per parlare, stare attento alle spiegazioni, svolgere i compiti…” Ah quelle non erano certo regole che facevano per lui! C’erano poi materie o attività che proprio non gli interessavano, e allora faceva il diavolo a quattro, si alzava dal banco, girava per la classe, parlava forte, faceva i dispetti persino agli insegnanti.

In prima media il Consiglio di classe discusse a lungo sulla promozione; non si era certo impegnato o aveva raggiunto gli obiettivi richiesti, ma era grande e grosso e aveva un buon rapporto con i compagni che, non solo lo tolleravano, ma addirittura lo tenevano calmo e lo aiutavano a superare le difficoltà. Dove avrebbe trovato un altro ambiente simile? In effetti, nella classe c’erano anche due ragazzi gemelli, molto intelligenti e preparati, ma anche umili e disponibili alla collaborazione, che si prendevano letteralmente cura di lui come due bravi papà. Andavano a riprenderlo quando si attardava in bagno, lo facevano sedere accanto a loro quando era nervoso, gli parlavano dolcemente invitandolo alla calma ed all’impegno, gli spiegavano quello che non capiva. Avevano con lui una pazienza veramente da santi. Nello stesso tempo erano anche molto collaborativi con gli insegnanti. Si preoccupavano di accendere o spegnere la lavagna interattiva, chiudevano a chiave la porta della classe quando avvenivano gli spostamenti in altri luoghi, facevano in modo che sulla cattedra fossero sempre pronti i materiali giusti, come il vocabolario, i giornali, i cd ecc...

Passarono tre anni e Mustafà imparò l’Italiano e qualche materia migliorando, almeno in parte, il comportamento troppo agitato.
Il primo giorno dell’esame di terza media scrisse un testo per lui veramente strabiliante, data la correttezza ortografica e grammaticale, ma soprattutto scrisse di essere stato molto fortunato ad aver incontrato due compagni di classe come i gemelli, “Due ragazzi alti uguali, capelli neri, occhi marrone, sguardo sempre felice e bocca sorridente. Straordinari, altruisti, gentili, affidabili più di qualsiasi altro. In quei tre anni, l’avevano aiutato, sostenuto e, quando non aveva voglia di fare niente, gliel’avevano fatta venire. Gli avevano dato tutto senza nulla in cambio”

Mustafà si augurava di potersi sdebitare, un giorno, ma sentiva che sarebbe stato difficile perché l’aiuto che aveva ricevuto era “INSDEBITABILE”, però era certo che quei ragazzi “Gli sarebbero rimasti cari per tutta la vita”.

Quando giunse il giorno dell’esame orale per i gemelli, l’insegnante di lettere li fece entrare insieme,  per un momento, nell’aula, dicendo che avrebbe fatto qualcosa che non aveva mai fatto in tutta la sua vita, cioè leggere pubblicamente il frammento di un tema d’esame di un loro compagno. Disse anche che l’eccezione era proprio necessaria e presto avrebbero capito perché.
Lesse così, con grande sentimento, la parte dell’elaborato di Mustafà che li riguardava e i gemelli diventarono prima tutti rossi, poi cominciarono a piangere come fontane. A quel punto, anche la Commissione d’esame non poté più trattenere le lacrime e tutti piansero.  Pensavano alla fatica di quei tre anni, alle arrabbiature, ai piccoli e grandi successi, al sorriso di quei ragazzi nonostante tutto e tutti, a quel’alunno che, da piccolo, testardo selvaggio, si era trasformato in una persona responsabile e riconoscente, all’inevitabile allontanamento di quella splendida classe verso nuovi orizzonti e percorsi formativi. Naturalmente molti avevano dimenticato i fazzoletti ma, per fortuna, esistevano quelli di riserva della prof. di arte, che li aveva portati prevedendo la tipica “commozione da esame” e l’emergenza venne superata.
Fu per tutti un bel momento perché, nonostante quel che si può pensare, non c’è niente che dia più gioia e commozione quanto un pianto di felicità.

Questa poi non è una favola, ma quanto successo oggi nella mia commissione d'esame di terza media.

1 commento:

  1. Grazie mille per aver pubblicato la mia storia. Ieri l'ho fatta leggere alla mia collega di arte, che aveva vissuto con me quel momento e, al ricordo, si è messa a piangere di nuovo come una fontana.
    I mass media parlano perlopiù di episodi spiacevoli, di ragazzi senza valori, della cattiveria del branco, ma esistono ancora tantissimi ragazzi buoni e altruisti che possono addirittura insegnare a noi adulti. E' di loro che bisogna parlare, affinchè possano essere un esempio positivo per gli altri.

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