lunedì 24 settembre 2012

Luis Cardona: ragazzi a digitalizzazione globale


Per gentile concessione della Rivista Fogli (Edizioni Ares) pubblichiamo l'intervista al professor Luis Cardona sui digital kids.

Dopo la maturità, Luis Cardona si trasferisce da Barcellona, sua città natale, in Svizzera, dove si laurea in Economia aziendale a Ginevra e poi in Informatica a Zurigo. Dopo aver lavorato presso una fondazione zurighese seguendo progetti di alfabetizzazione informatica in Europa (Italia
compresa), ha svolto un’attività di ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale (sistemi esperti)
che si è conclusa nel 1994 con un dottorato presso l’Università di Friburgo. Da quel momento
si è dedicato completamente alla formazione giovanile, prima dirigendo residenze universitarie a
Friburgo e Zurigo, poi fondando un Club giovanile a Lugano, nel 1998.
Nel tentativo di sviluppare un nuovo approccio pedagogico che sia veramente efficace contro
l’attuale emergenza educativa e che possa portare serenità nelle famiglie e nei ragazzi, ha messo
in piedi con alcuni amici e collaboratori un progetto educativo, chiamato Everest, che è allo stesso
tempo un liceo futuristico e un centro di ricerca neuro-psico-pedagogico. Il progetto prevede
una rete formativa con diversi centri di attività: Lugano (sede dell’Everest) e partners ospitanti a
Washington, Londra, Colonia, Palermo e Nairobi.


Professor Cardona, che cos’è l’emergenza educativa di cui si sente tanto parlare?
L’emergenza educativa nasce come il risultato di due rivoluzioni culturali di fine secolo scorso: la rivoluzione del ’68 e la rivoluzione digitale (Internet, cellulare, Facebook...). La scuola sta perdendo il contatto con la realtà, poiché non evolve e, dunque, non riesce a trovare un suo ruolo all’interno di un mondo che sta cambiando molto velocemente. Questa perdita di contatto con la realtà sta portando a un numero molto elevato di fallimenti scolastici. La cosa che rende perplessi gli esperti è che i ragazzi, invece di cercare di impegnarsi per evitare le insufficienze, le accettano come qualcosa di «normale».
Sembra che a loro non importi molto il rischio di dovere ripetere l’anno...
Davanti a questo atteggiamento di boicottaggio del sistema scolastico, la scuola non sa come reagire: non sembra che ci siano soluzioni in vista. Questo disagio, sempre maggiore, mette in grande tensione le famiglie: i genitori, davanti a questi insuccessi dei figli, non sanno più come relazionarsi con loro. La sfida educativa finisce per diventare anche una sfida all’interno della coppia. Purtroppo molte famiglie non reggono e i legami famigliari finiscono per rompersi. Il tessuto famigliare si sta sciogliendo: e questo è un grande male per tutta la società.
L’emergenza educativa però non è dovuta principalmente ai ragazzi che non vogliono impegnarsi. In questo contesto
i ragazzi, più che colpevoli, sono vittime.

Una volta Giovanni Paolo II disse che se avesse dovuto salvare, per ipotesi assurda, un solo versetto della sacra Scrittura avrebbe scelto: «La verità vi farà liberi». Quale verità occorre far conoscere ai giovani, e come?
Per essere felici bisogna essere veramente liberi. I giovani non amano sentirsi predicare la verità; quello che veramente cercano è la testimonianza di un amore autentico. Sono alla ricerca di qualcuno che li ami per quello che
sono, con i loro sogni, i loro limiti, i loro difetti, le loro speranze. Per questo vedono spesso nell’amicizia il valore più alto. Purtroppo molti di loro sperimentano ben presto la delusione di una falsa amicizia, quando si accorgono che è interessata. Scoprono che sono benvoluti soltanto quando sono utili e/o piacevoli, quando si comportano bene e vanno bene a scuola, quando hanno soldi o sono sexy. Scoprendosi strumentalizzati, vivono queste false
amicizie come autentici tradimenti. Una parte della trasgressione giovanile si può spiegare come provocazione nei confronti degli adulti, particolarmente dei genitori: «Vediamo se mi ami anche quando non mi comporto
come vuoi tu».

Il successo delle Giornate Mondiali della Gioventù sta a dimostrare che i giovani, anche oggi, ascoltano volentieri chi parla loro con autorevolezza e con esigenza: lo sperimenta anche lei nel suo lavoro di formazione?
Ho trovato molti ragazzi che, potendo, vorrebbero essere bravi, ma che non ci riescono. Di solito questi ragazzi hanno l’autostima molto bassa, in gran parte dovuta al fatto che gli adulti di riferimento – genitori, docenti ecc. – non risparmiano critiche nei loro confronti, dimenticando invece di lodarli quando lo meritano. Facciamo loro molto male pensando che sono una «generazione perduta». In realtà, stanno gridando con un linguaggio non verbale: aiuto!
Arrivano a un punto di scoraggiamento tale che non osano neanche cercare di migliorare. Nel loro tentativo di fuga da una realtà che sembra loro troppo difficile e ingiusta, tendono ad aggregarsi con coetanei che hanno più o meno gli stessi problemi. Una volta che si forma il gruppo «problematico», diventa molto difficile che accettino un discorso autorevole ed esigente, semplicemente perché l’amicizia e la «fedeltà» nei confronti del gruppo impediscono loro di cambiare atteggiamento. Se invece si riesce a trasmettere loro la speranza che possono diventare così bravi come desidererebbero, allora possono accettare di aggregarsi a coetanei che, come loro, hanno la speranza di migliorare. Una volta creato un gruppo che si sente «in cammino verso la virtù», diventa relativamente facile motivarli ad ascoltare discorsi esigenti, perché hanno il desiderio e la speranza di diventare bravi.

Da quanti anni si occupa di orientamento e formazione dei giovani? Ci sono stati cambiamenti nel modo di vivere questa tappa della vita?
Me ne occupo da più di 25 anni. I cambiamenti dei giovani in questi anni sono stati enormi, ma, secondo me, ci saranno cambiamenti ancora più sensibili nei prossimi 10-15 anni.

Si può educare ancora, nell’èra di Internet, attraverso la lettura? Ci sono libri che consiglia?
Così come ci sono state tecnologie che non esistono quasi più, come il VHS, ho il sospetto che fra poco il libro, come supporto informativo sequenziale-cartaceo, possa scomparire, come sono scomparsi i papiri, le pergamene e le tavolette di argilla. Non è il libro ciò che conta, ma il contenuto del libro, la «storia». In altre parole è il «documento» che conta, non tanto il «formato del file».
Un ragazzo che ha visto una storia al cinema, di solito non vuole più leggere il «libro del film» (ci sono onorevoli eccezioni che confermano la regola, soprattutto fra le ragazze). Un ragazzo che inizia presto a usare il computer e che vede molti film alla Tv o al cinema, sviluppa un modo di acquisire le informazioni molto diverso da quello sequenziale proprio delle storie dei libri cartacei: si tratta di un modo che potenzia quasi tutti i canali sensoriali ed emotivi. La lettura di un libro gli appare qualcosa di molto povero, perché molte delle potenzialità sviluppate con il video non vengono coinvolte in quell’attività;
il risultato è che sente una profonda noia, che scatena una reazione di rigetto. Questi ragazzi «digitali» raramente hanno la pazienza di leggere una pagina intera, riga dopo riga, e di seguire un racconto sequenziale, pagina dopo pagina. Sono ragazzi che cercano «l’essenziale» e lo vogliono in
modo interattivo: perciò  leggono le pagine in diagonale e poi saltano alcuni capitoli: magari iniziano proprio con la fine, come con i Manga.
Il libro di Alessandro d’Avenia Bianca come il latte, rossa come il sangue mi sembra un capolavoro anche perché riesce a coniare nel formato cartaceo la tecnica di lettura dei ragazzi digitali: capitoli molto brevi, linguaggio molto orale e vivo: quasi «interattivo»; il capitolo, prima di finire, introduce già il successivo, così il ragazzo è motivato a iniziare il nuovo capitolo, prima di finire il precedente.

Se non è più così facile utilizzare i libri per la formazione di un ragazzo, quale metodo usa nel suo lavoro di formazione?
Nel mio lavoro con adolescenti, ho sperimentato e verificato l’efficacia di questo metodo: commento brani di film e faccio un uso misto di testo, video e audio. Questo metodo non può funzionare se il ragazzo ha meno di 13 anni e la ragazza meno di 12 anni. Le storie, i film, che uso di più sono queste (l’età indicata serve soltanto per dire in che momento può essere efficace un commento pedagogico del film; non mi riferisco all’età minima per vederlo): Star Wars (13-15); Il Signore degli anelli (13-16); Buchi nel deserto (13-16); Il Club degli Imperatori (14-17); Matrix I (> 15); I passi dell’amore (> 16); Seventeen again (> 16); L’ultimo dono (> 16); Quasi amici (> 17).

Nel mondo, specie in Europa, cresce la tendenza a spostare sempre più in avanti il momento di decisioni importanti quali la formazione di una famiglia: come valuta questa tendenza?
Io dico spesso ai ragazzi: Dio perdona sempre, gli uomini ogni tanto, la natura non perdona mai. Una volta si parlava di «fidanzamento». Oggi, questa parola è stata sostituita dal concetto di «stare insieme». Si tratta semplicemente di un «consumismo affettivo».
«Stiamo insieme», finché dura… In realtà, manca ordine nelle relazioni affettive. Siccome possiamo ingannarci, ma non possiamo ingannare la
natura, è lei che fa pagare a questi giovani il conto del loro disordine: il prezzo è caro, particolarmente per le ragazze, le quali, di solito, sono quelle che hanno iniziato «il gioco dello stare insieme». Dopo alcuni clamorosi fallimenti (di solito tra i 13 e i 19 anni) i giovani rischiano di diventare cinici e di non credere più al matrimonio, alla famiglia, alla fedeltà, all’amore. La mia valutazione di questa tendenza è che ci porti alla sterilità e all’invecchiamento demografico, come si può già vedere. Con il tempo ci sarà, come capitò alla fine dell’impero romano, una sostituzione demografica con gente appartenente ad altri popoli che, su questo punto, hanno un atteggiamento più sano, perché sono più rispettosi della natura umana.

I modelli: da sempre i giovani sono affascinati dal mondo dello spettacolo: cinema, teatro, musica, sport. Come si può aiutarli a distinguere i buoni dai cattivi maestri?
I giovani, come gli adulti, sono affascinati dal successo.
Soprattutto adesso che molti di loro hanno l’autostima molto bassa. Pensano che con il successo otterranno quella considerazione che a loro manca... e che questa considerazione sarà la porta del loro paradiso (un po’ come il lavoro per Will Smith nel film Alla ricerca della felicità). Ma il successo di queste «star» porta a una felicità soltanto apparente, come mostrano le loro vite quando hanno smesso di «essere famosi». Per i giovani di oggi èmolto difficile distinguere tra buono e cattivo perché è molto difficile distinguere tra vero e falso. Pensano che «il male» è ciò che si fa con cattiveria. Siccome non fanno quasi mai niente con cattiveria, non vedono perché non dovrebbero poter fare certe cose che gli adulti non vogliono che facciano: «Che male c’è?» si sente chiedere spesso.
In realtà il male è quello che si fa con disordine, ma loro fanno fatica a capire quale sia l’ordine giusto (basta guardare in certe camere da letto). E poi, anche se lo sapessero, bisognerebbe vincere la noia, la mancanza di voglia...; ma sono pochissimi i giovani capaci di gestire la noia o di fare con motivazione delle attività senza voglia. Penso che la cosa migliore sia dare loro una motivazione che sia superiore al «successo», e che li avvicini il più possibile alla vera felicità.
L’unico modo di aiutarli a essere sé stessi è quello di far loro sperimentare l’amore autentico, che solo un vero cristiano può dare.

Oltre alla famiglia e alla scuola, quale le sembra il ruolo di altre agenzie educative, come quella che lei dirige a Lugano?
Oggi è molto difficile educare senza l’aiuto di un’agenzia educativa dove i ragazzi possano trovare un ambiente sano. La scuola e la famiglia, per certi aspetti, sono veramenteinsufficienti. Coloro che non cercano l’aiuto diagenzie educative per gestire il tempo libero dei loro figli finiscono spesso per scoprire, con sorpresa, che questi si ritrovano «per strada» con gli amici, senza scopo, senza ordine, di negozio in negozio... Un «divertimento noioso» che crea in loro il bisogno di «sfogarsi» dal venerdì alla domenica con delle feste in discoteca che sembrano non finire mai.

Si dice che fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce: che cosa si può fare affinché il «rumore della foresta che cresce» sia più avvertito dall’opinione pubblica?
Quello che sto cercando di fare a Lugano è creare le condizioni per recuperare quei ragazzi che «vorrebbero essere bravi ma che non ci riescono». Ho creato con degli amici un’accademia di tipo liceale (www.everest-lugano.ch), orientata verso il futuro, in un ambiente dove i ragazzi abbiano la possibilità di sperimentare un tipo di scuola che, per loro, sia bella e motivante. Siamo partiti a settembre con 9 ragazzi. Per il momento tutti sono entusiasti: tanto loro come i genitori. Questo modo nuovo di «fare scuola» sta attirando molto l’attenzione dell’opinione pubblica e contribuirà sicuramente a creare delle condizioni migliori per le giovani generazioni.

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