mercoledì 1 maggio 2013

Ma il metodo Montessori avrebbe ammesso i touch screen? Forse sì


di Renato Benedetto

All’inizio domina lo stupore. Quando si osservano le piccole mani di un bambino, che ancora non va neanche a scuola, agire con disinvoltura sullo schermo di un tablet, colorare, muovere figure, animali e piante con un dito come fosse naturale. Poi arriva il momento del dubbio: «Da un lato i genitori vogliono che i loro figli imparino a nuotare agevolmente nel mare digitale dove dovranno navigare per tutta la loro vita. Dall’altro, temono che troppa esposizione ai media digitali, troppo presto, li affogherà». Così Hanna Rosin ha riassunto, su The Atlantic, il dilemma della «generazione touchscreen»: sperare che il tablet possa compiere miracoli sul quoziente intellettivo del bambino, renderlo un navigatore navigato; ma se usato a dovere, altrimenti il piccolo rischia di trasformarsi in un adolescente pallido, «incapace di guardare gli altri negli occhi e con un avatar per fidanzata».
Se abbondano gli studi sulla televisione, maestra buona o cattiva, sugli schermi che si toccano è stato ancora scritto poco
«L’iPad è stato lanciato nell’aprile 2010, è coetaneo di un bambino che ha appena compiuto tre anni, troppo poco per studi approfonditi», puntualizza Emma Baumgartner, ordinario di Psicologia dello sviluppo alla Sapienza di Roma. In famiglia, intanto, ci si sbizzarrisce con le regole più disparate sull’uso del tablet.
C’è chi lo vieta del tutto, chi lo autorizza a orari da sportello al pubblico, chi solo nei viaggi lunghi. Chi divide le app tra buone e cattive: bene quelle educative, zeppe di lettere e numeri o in inglese, così si porta avanti con lo studio della lingua. Per definizione, i genitori credono che anche la più piccola scelta segnerà irrimediabilmente il destino del piccolo: «C’è molta ansia, troppa — continua la professoressa —. I bimbi, anche di 18 o 24 mesi, si muovono con naturalezza sugli schermi».
Sono oltre 40 mila su App Store i titoli per bambini (solo per neonati nella sezione italiana si sfogliano circa 4 mila risultati), più quelli su Google Play. Senza contare i tablet dedicati ai più piccoli. I nostalgici correranno con il pensiero ai tempi in cui bastava una pietra, un bastoncino e la fantasia.
«Mio figlio si arrampica sugli alberi, gioca con gli altri, si sbuccia le ginocchia e usa l’iPad — racconta Roberta Franceschetti, fondatrice di Mamamò.it, che recensisce app per bambini —, che stimola, eccome, la fantasia. Ci sono applicazioni per disegnare, per giocare con i suoni. Crayon Physics, ad esempio, permette di tracciare forme su un “foglio” bianco dove agiscono le leggi della fisica: il bimbo sposterà una palla attraverso gli oggetti che lui stesso ha disegnato». Non è detto, poi, che la tavoletta conduca all’isolamento ed escluda il contatto.
Con i genitori, innanzitutto: «Si prendano i libri interattivi. Il genitore legge il testo, mentre i figli, con i loro tocchi, possono far apparire immagini, animazioni e suoni». O con i coetanei: «In molti giochi si può toccare in due lo schermo, ci si sfida o si collabora, stimolando la curiosità reciprocamente: vediamo che succede se facciamo così…». Alcuni giochi digitali ricalcano l’antico. Con Toca Tea Party, campione di download, si gioca a «servire il tè»: fa parte di una serie, Toca Boca, che prevede di giocare in maniera simile alla parrucchiera, al sarto, con il trenino.
«E ancora: abbecedari, app sui numeri, quelle ispirate al metodo Montessori». Dopotutto era proprio Maria Montessori, che sul naturale sviluppo del bambino ha posto l’accento, a dire che «le mani sono gli strumenti propri dell’intelligenza dell’uomo». Con le mani si può giocare con la sabbia e «tappare» su uno schermo. «L’elemento di novità del tablet — spiega ancora Baumgartner — è che un bambino può usare le dita e osservare gli effetti. A ogni azione ha una risposta immediata. Si ha il principio, importante per lo sviluppo cognitivo, che Piaget ha definito “il piacere di essere causa”. Impara che può produrre un effetto sul mondo, prendere decisioni e pianificare, scopre la sua autonomia».
Si sviluppa, inoltre, un modo diverso di pensare: «Le informazioni non sono di tipo seriale, come in un libro, ma processate in modo parallelo». La generazione touchscreen è destinata a essere «naturalmente» multitasking? «Si va in questa direzione», risponde Francesca Romana Puggelli, che insegna Psicologia sociale alla Cattolica di Milano e ha due figli «uno di 2 anni, uno di 5, ciascuno con il suo iPad»: «Non bisogna pensare che il tablet crei dipendenza, o streghi i bambini. Ci si può anche stufare, a quell’età il bimbo è curioso di tutto», spiega Puggelli. «Per un uso equilibrato bisogna considerare la “dieta” generale, cioè il tempo concesso ai media digitali rispetto alle altre attività, e i contenuti scelti. E poi dipende da bambino a bambino».
«L’importante è non utilizzare mai lo schermo come baby sitter, i genitori devono essere presenti — suggerisce Serena Valorzi, psicologa e autrice di Generazione cloud — e accompagnare i figli nella scoperta delle tecnologie, perché, crescendo, non si avventurino da soli nella Rete».
Dove, comunque, arriveranno: allora, più che i divieti, sarà meglio accompagnarli.

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