mercoledì 26 giugno 2013

Donne in carriera se studiano in classi monogenere

di Tonia Mastrobuoni, La Stampa


In ogni civiltà, la fine della segregazione è sempre considerata un segno di grande progresso. Ma secondo uno studio sorprendente di due economisti italiani, non sempre gli ambienti misti aiutano le donne. E le loro scoperte non riguardano oltretutto un ambiente qualunque, ma la scuola. Una ragazza che si diploma dopo aver frequentato una classe con pochi maschi, ha molte più probabilità di fare carriera e avere un buono stipendio di una sua coetanea che ha fatto il liceo in una classe mista.


Secondo il saggio appena pubblicato dai due studiosi dell'Università della California, Giovanni Peri e Massimo Anelli, è più probabile, cioè, che una ragazza che sia stata in una classe «ad alta percentuale femminile» scelga una facoltà come Economia o Ingegneria piuttosto che Lettere. E la scelta di una facoltà scientifica al posto di una umanistica condiziona enormemente la sua possibilità di fare carriera e di guadagnare tanto. Il discorso, fra l'altro, non vale solo per le donne: anche i maschi tendono a preferire facoltà che garantiscano loro un percorso professionale più soddisfacente, dal punto di vista retributivo, se nei cinque anni di liceo la percentuale di donne in classe è stata bassa.

Lo studio parte da una considerazione quasi lapalissiana: «i redditi e le carriere potenziali delle persone sono fortemente condizionati dalla loro istruzione». Secondo dati del 2011 dell'ufficio di statistica americano, le donne americane che hanno frequentato Ingegneria, un anno dopo la laurea guadagnano circa 55 mila dollari; se hanno preferito Lettere, appena 31 mila. Una differenza talmente enorme da imporre una riflessione, soprattutto perché le donne hanno ormai superato gli uomini in numero di laureati e voti. Ma in America solo il 18% dei laureati in Ingegneria è donna contro il 64% di chi esce da una facoltà umanistica. Insomma, una delle ragioni per cui le donne guadagnano meno degli uomini, è che scelgono le facoltà «sbagliate», se così si può dire.

Peri ed Anelli hanno dunque analizzato 30 mila studenti italiani, per la precisione dei licei milanesi, su un arco di quindici anni, dal 1985 al 2000. Hanno esaminato nel dettaglio le loro scelte post-scolastiche, i loro approdi professionali, le loro buste paga. Le conclusioni principali sono tre. La prima è che una quota più alta di persone dello stesso sesso in classe aumenta la probabilità di scegliere facoltà che fanno guadagnare di più. Per le donne aumenta del 5-6 per cento, per gli uomini del 6-7 per cento. Ma lo studio mette in evidenza anche un altro dato interessante: le donne che escono da classi tendenzialmente «unisex» sono anche più brave delle loro coetanee, nel percorso accademico: si laureano prima e abbandonano meno spesso l'università. E dopo la laurea, tendono anche ad avere stipendi migliori. Lo studio prova a ricavare alcune spiegazioni da questi risultati empirici e ne deduce anzitutto che la frequentazione di classi a prevalenza femminili «potrebbe aumentare l'autostima delle donne», come del resto suggerito già da alcuni economisti comportamentisti. In altre parole, scrivono gli autori, la presenza in classe di un'alta percentuale di studentesse «potrebbe migliorare la loro autostima, inducendole a scegliere una facoltà più competitiva, che garantisca guadagni maggiori e tipicamente maschile».

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