venerdì 10 gennaio 2014

Marco Scarmagni: quando la realtà è teatro. Imparare a vivere insieme nelle differenze divertendosi.




Quando l’intelligenza si fa teatro… Come coinvolgere sempre più per trasmettere elementi chiave della relazione, dell’educazione, della vita in ultima analisi in modo brillante? Marco Scarmagni c’è riuscito e ha messo in scena l’amore coniugale, la differenza tra i sessi, la bella fatica della relazione. Marco, veronese, classe 1971, sposato alla tenera età di 24 anni, tre figli e alcune esperienze di affidamento familiare è innanzitutto giornalista per l’Editore Sempre della Comunità Papa Giovanni XXIII della quale dal 1991 è membro e per la quale dal 2013 è il delegato al Forum delle Associazioni Familiari. È laureato in Scienze dell’Educazione (Tesi: Maschile e femminile negli studi di gender, una lettura sociologica) e baccalaureato in Psicologia dell’Educazione (Tesi: Psicologia della Personalità e differenze di genere). E ha uno studio di Mediazione e Consulenza Familiare a Legnago (VR).  

Ma soprattutto è formattore (con due t) e autore di alcuni spettacoli e attività interattive di grande valore. 

Ecco come si racconta

Qual è la tua mission personale?
Personale? Essere un marito, un padre, un professionista “sufficientemente  buono” tanto per citare Winnicott. La mission del mio studio di consulenza familiare me l’ha spiegata un bambino di nove anni che ad un incontro in una scuola è intervenuto dicendo “Il consulente familiare consola le famiglie: consulente- consola, si capisce”. Se invece ti riferisci alla mission delle attività di formazione, è quella di dare sostegno ed empowerment alle famiglie tradizionali (eterosessuali, monogame, stabili, tanto per capirci), rivolgendomi in particolare alla coppia. Mi piace proporre in maniera laica, talvolta ironica e scanzonata, i temi cari alla visione antropologica cristiana. Da quando ho sposato una donna mi intriga molto approfondire la differenza e la dinamica relazionale tra uomo e donna.


Ma uomini e donne sono davvero diversi?
Certo! Anche quando sono vestiti uguali e fanno le stesse cose. I cervelli di uomini e donne cominciano a differenziarsi già dall’ottava settimana dopo il concepimento. È un fatto che mi suscita stupore e al quale ho dedicato due tesi. La diversità – o meglio la differenza – è un dato ineliminabile della natura umana, ciò che rende la persona biologicamente e psichicamente feconda. Ogni tentativo di negare questa realtà è un esercizio inutile prima che dannoso. Dovremmo casomai sviluppare l’integrazione, la complementarietà, la dialettica, la parità, non l’uguaglianza.

Lo si può affermare o è politically uncorrect?
Non importa. Lo si “deve” affermare, perché è necessario ravvivare ciò che uomini e donne sentono nel profondo del  loro essere. La correttezza politica va e viene, la verità resta. E la verità è agganciata prima di tutto ad un dato biologico, poi anche psicologico, culturale, e per chi vuole anche spirituale.

Come è nato Io Tarzan tu Jane? Che cosa è concretamente? A che cosa serve?
Lavorando con coppie e famiglie mi trovavo a spiegare la differenza tra uomini e donne ai fidanzati, agli sposi, agli uomini e donne che incontravo, che in questo periodo storico sono confusi e hanno bisogno di rassicurazioni. Ho pensato che raccontare le mie tesi poteva risultare piuttosto noioso e allora – avendo un po’ di passione per il cinema – ho cominciato a guardare e riguardare tutti i film chiedendomi cosa mi potevano raccontare del maschile e del femminile. Ne è uscito “Io Tarzan, tu Jane”, un format che porto in giro per l’Italia da qualche anno che non è altro che presentare, in rapidissima successione e in dialogo con il pubblico, brevi spezzoni di film che mostrano il maschile, il femminile, come uomini e donne si rapportano, come si comportano i padri e le madri, come si litiga e si fa la pace in maniera differente. È stato – ed è – un lavoro divertentissimo perché mi accorgo poi che i registi, anche i produttori di cartoni, magari inconsapevolmente, presentano uomini e donne secondo i più tradizionali stereotipi. E così c’è una conferma: se fai uscire l’Uomo e la Donna e dalla porta ti rientrano dalla finestra.

L’amore per sempre è una illusione, una follia, una violenza o la sola possibilità? Perché?
Dipende da che cosa intendiamo per amore. Anche qui chiarire non è facile, ma la tua domanda aiuta. Se per amore intendiamo “piacersi”, allora è ovvio che piacersi sempre e per sempre è una pia illusione. Se per amore intendiamo “sentimento”, tenere un sentimento costante è una follia e porta al paradosso (mi costringo a “sentire”). Se per amore intendiamo “passione” – magari soprattutto passione di tipo sessuale – se non è regolata può diventare una violenza, fisica o psicologica non importa. Se per amore intendiamo invece desiderare il maggior bene dell’altro e il bene della relazione ecco che l’amore per sempre (ah, c’è anche un libro: “Per Sempre. Ingredienti per vincere la sfida di una vita insieme” – se n’è parlato anche qui) diventa una meta desiderabile, assolutamente integrata con un progetto di crescita personale e di apertura alla vita. A scanso di equivoci va detto che “piacersi”, “sentimento” e “passione” sono elementi che fanno parte della vita di ogni coppia, sono belli e desiderabili, ma l’esercizio continuo è di non considerarli la base ma un ornamento, un condimento. Sono come gli ingredienti della pizza. Facciamo pomodoro, mozzarella e olio per far calzare il paragone. Senza di loro la pizza è solo un pezzo di pane tondo, ma nessun pizzaiolo si sognerebbe di portarti su un piatto pomodoro, mozzarella e olio senza la base dicendoti che quella è la pizza.

A proposito di cibo… Sono cotto di te: che cosa è e come funziona?
Sono cotto di te” è un’esperienza, intensa, divertente e formativa. È un pranzo


o una cena che attraverso la preparazione e la consumazione del cibo aiuta i coniugi e i fidanzati a ripercorrere metaforicamente le tappe di formazione e di sviluppo della coppia. L’ho elaborato con uno psicologo e uno chef, entrambi amici con i quali dall’adolescenza condivido i valori. Concretamente una decina di coppie passano 4-5 ore insieme, alternando momenti di coppia ad altri di gruppo in un clima sempre cordiale e un po’ festoso, intimo ma anche – per chi vuole e moderatamente – di confronto. È più semplice da provare che da spiegare. Dove l’abbiamo portato è piaciuto, da qualche parte abbiamo dovuto fare il bis.

I nuovi progetti per il 2014?
Consolidare i format di cui abbiamo parlato, svilupparli e diffonderli ulteriormente, perché mi piace continuare a modificarli anche con le sollecitazioni che mi arrivano dalle persone che incontro. Poi ci sono alcune nuove frontiere, tipo lavorare in maniera più approfondita sull’essenza dell’essere uomini e padri Ho fatto delle esperienze molto positive recentemente, probabilmente è un viaggio che sto facendo prima di tutto dentro di me.

Perché c’è così tanta sofferenza oggi secondo te?
La sofferenza fa parte della vita, di ogni vita. Ma se parliamo di sofferenza coniugale allora cambierei la domanda: Perché non riusciamo più a soffrire? A sopportare? Gli sfasci delle famiglie ce li abbiamo davanti gli occhi e non è il momento di riparlarne. Ma pensa una cosa: rispetto a chi sceglie di interrompere il proprio matrimonio (o anche di viverlo in maniera depressa) siamo passati negli ultimi decenni dal disprezzo alla compassione. Da “che scandalo” a “poverini”. Ritengo siano atteggiamenti entrambi scorretti. Ma possibile che tutta sta gente si sia trovata a fianco una persona insopportabile? Se guardiamo le singole situazioni è ovvio che proviamo empatia, ma se allarghiamo lo sguardo e leggiamo – ad esempio qui nella mia romantica Verona – che delle nuove coppie ormai saltano una su due… insomma un po’ di riflessione è necessaria. Allora, capisco che sono troppo semplicistico e l’argomento merita ben altri approfondimenti, però una cosa posso dirtela: sento il bisogno di qualcuno capace di un atteggiamento “paterno”. Un padre che noi uomini dobbiamo riscoprire, che sappia prendere l’amico che ti viene a raccontare le sue pene coniugali e dirgli senza tanta delicatezza: “Ragazzo, gira i tacchi, torna da tua moglie e prenditi le tue responsabilità, combatti per quello che hai scelto”. Detto da uomo a uomo è salutare. Facciamo la nostra parte;  l’empatia, la comprensione, lasciamola alle nostre mogli che sono ben più dotate. Una donna si motiva se la capisci, se la ascolti; un uomo se gli squadri la realtà e gli indichi una strada da percorrere, meglio se impervia, faticosa, ma possibile. Si può dire “da sfiga a sfida”?

Tre consigli alle famiglie per vivere in serenità, in speranza, in..sieme
Con il limite della sintesi, tre me ne chiedi e tre te ne do:

Circondatevi di amici con i quali condividere il cammino. L’amicizia rinforza la motivazione, aiuta a mettere sullo sfondo alcuni problemi, amplia le opzioni di soluzione.

Ridimensionate la portata di ciò che oggi viene definito “insopportabile”. E, se proprio è doloroso, accoglietelo e attraversatelo. Non c’è altra via.

Ricercate tempi solo per la coppia, sempre! Anche quando i bambini sono piccoli. I tempi di coppia non sono i tempi di famiglia. Meno se ne hanno più difficili sono da trovare e soprattutto da gustare.

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