martedì 22 luglio 2014

Il diploma viene prima dei milioni


di Marco Imarisio dal Corriere della Sera

A dire bravi siamo tutti capaci. È facile, fa sentire meglio e non costa niente. Ma quanti papà e mamma lo avrebbero fatto davvero, questa è la domanda. Ci vuole coraggio, a pronunciare un “no” così pesante. Avrebbe guadagnato quasi cinque milioni di euro, avrebbe giocato in una delle più forti squadre europee, insomma, avrebbe svoltato per sempre. Ora, adesso. Perché nello sport non puoi sapere cosa succederà domani.
Invece Donatella e Fabrizio Scuffet hanno pensato che per loro figlio Simone, ancora minorenne ma già con la patente di nuovo Buffon, fosse meglio restare ancora un anno a Udine. Per una ragione molto semplice. Vogliono che prenda un vero diploma da ragioniere nell’istituto dove ha cominciato a studiare e non in una delle molte scuole barzelletta che infestano l’Italia.
A ognuno il suo mestiere, ogni tanto ce ne dimentichiamo. Quello dei Pozzo, proprietari dell’Udinese, è vendere i giocatori. I coniugi Scuffet fanno i genitori. Lo sappiamo tutti, non è facile. La voglia di proiettare ambizioni e frustrazioni è quasi un istinto naturale. Li immagini che sollevano la coppa della Champions League, che esultano come Tardelli ai Mondiali di Spagna. Poi riapri gli occhi e c’è la realtà, la vita vera. Con legioni di aspiranti titolari della Nazionale che hanno fallito e adesso ridono dentro a un bar, per dirla con De Gregori.
I signori Scuffet sono descritti come gente semplice. Lei casalinga, lui bidello e insegnante di volley. Le cronache locali riferiscono come non abbiano mai interferito nell’attività del figlio. Non conoscono neppure allenatore e dirigenti dell’Udinese. Si preoccupano soltanto del clamore intorno a lui. Al momento giusto, hanno esercitato un diritto carico di responsabilità pensando alla persona, e non all’ipotetica stella dello sport. A cosa fosse meglio per la sua vita e non per la sua carriera. Simone non diventa missionario in Africa, resta a giocare e guadagnare in un buon club. Ma la scelta dei suoi genitori è così straordinariamente contro corrente, così fuori moda, che viene comunque voglia di ringraziarli, Donatella e Fabrizio. Per la loro semplice normalità, per questa lezione di educazione civica.

martedì 8 luglio 2014

Leggete ai bimbi anche quando non capiscono



di Silvia Vegetti Finzi, tratto dal Corriere della Sera

Siamo in estate, i pomeriggi sono lunghi, i viaggi in macchina interminabili e la sera i bambini si rifiutano di andare a nanna. Che fare per evitare la noia, intrattenerli amabilmente e, nel contempo, favorire lo sviluppo delle loro potenzialità?

Ci giunge, dall’Accademia americana di pediatria, una raccomandazione importante: leggete libri ai vostri bambini! Da quando? Dalla nascita. Come? Ad alta voce. Perché? Perché nei primi tre anni di vita il cervello è straordinariamente plastico e i processi di apprendimento particolarmente efficaci.
Può sembrare che i neonati non capiscano quanto sentono e probabilmente molti contenuti sfuggono alla loro comprensione ma la capacità di intendere  le parole è molto precoce rispetto alla loro verbalizzazione. Difficilmente il piccolo comprende lo svolgimento della narrazione ma di sicuro coglie, nelle modulazioni della voce, il tono emotivo delle scene che state illustrando.

La voce, come la musica, non ha bisogno di competenze lessicali per trasmettere le vibrazioni del cuore. La lettura di un libro introduce inoltre, nel lessico quotidiano, parole nuove e costrutti grammaticali e sintattici più elaborati.
Anche se alcune situazioni possono suscitare emozioni negative, come la paura, la condivisione che si crea tra chi parla e chi ascolta garantisce i necessari margini di sicurezza e di fiducia. L’importante è non essere generici ma ritagliare la lettura a misura di quel bambino, del suo livello di maturità, della sua storia e della sua personalità.
Particolare delicatezza è richiesta per i piccoli malati o che si trovano, per qualsiasi motivo, in condizione di ansietà. Se sapremo osservarli, potremo monitorarle loro reazioni attraverso i gesti e la mimica facciale. Appena esprimono disagio cambiate il racconto rendendolo più familiare e amichevole, come dimostra il successo di “Peppa Pig” e “La Pimpa”.

I libri, da non confondere con i giocattoli, se vengono somministrati in giuste dosi e nei modi più opportuni, costituiscono un efficace antidoto contro le distorsioni indotte dai supporti digitali portatili.  Secondo i pediatri americani, la frequente lettura dei libri d’infanzia nei primi mille giorni di vita concorre a evitare, più tardi, problemi di apprendimento e comportamento scolastici.
Il divario che separa, per quanto riguarda il successo tra i banchi, i figli di genitori acculturati da quelli meno favoriti può essere ridotto dall’abitudine di leggere libri ad alta voce.
I testi cambiano con l’età ma non abbiate timore, a un certo punto, di introdurre le fiabe. Possono sembrare antiquate per le generazioni dei “nativi digitali”. Ma le favole, come i sogni, non hanno tempo e, con la garanzia del buon esito finale, insegnano ad affrontare gli aspetti più crudeli della vita senza smarrire la speranza nella bontà e nella giustizia. Accade però che i bambini desiderino “fare storie”, diventare essi stessi narratori.

E’ un passaggio importante, che merita di essere accolto favorevolmente e sostenuto affettivamente perché in tal modo imparano a utilizzare il pensiero per elaborare e comunicare i vissuti negativi che possono turbare la loro vita.