giovedì 25 settembre 2014

"Programma il futuro". La rivoluzione digitale della scuola per insegnare il «coding» fin dalle elementari.

di Antonella di Gregorio, da corriere.it

L’alfabetizzazione del nuovo millennio si fa in numeri binari: 1-0-0-1. Il linguaggio dei calcolatori, cioè, verrà prima di (o insieme a) ortografia e tabelline. E i ragazzini non saranno più solo fruitori passivi di tecnologia, ma impareranno a «ragionare» come i computer. Anzi, a far ragionare i computer. 
Parte dunque anche in Italia la sperimentazione appena decollata in Gran Bretagna e Stati Uniti, che vede l’inserimento del coding - e cioè la capacità di impartire istruzioni a un calcolatore -fin dal curriculum delle primarie. A dare il la a un movimento diventato davvero globale, è stata la campagna «Hour of Code», lanciata da Code.org (fondazione no profit statunitense dedicata allo sviluppo della formazione nella programmazione dei linguaggi informatici) per la diffusione delle scienze informatiche. 

«Programma per il futuro» è la sponda italiana dell’iniziativa, utilizzata da milioni di alunni negli Stati Uniti e apprezzata da Barack Obama; entrata alle elementari, in Estonia, già da due anni; partita in Inghilterra a inizio anno scolastico, con corsi obbligatori di coding per tutti, dopo un anno di dibattiti e un paio di sondaggi per sondare il livello di consapevolezza dei genitori in merito ai nuovi programmi. 
In Italia gli obiettivi sono per ora su scala ridotta: almeno una lezione per ogni studente. Poco più di un assaggio. Si potrà fare cioè un’ora di avviamento al pensiero computazionale: l’«ora di Codice». E poi, eventualmente, un percorso più approfondito, di dieci ore, da svolgere nel corso dell’anno scolastico. In tutti e due i casi le lezioni si possono fruire sia on che off line, per non penalizzare le scuole meno fornite di computer e connessione a Internet. 

Alle scuole, spiega una circolare del Miur, saranno forniti una serie di strumenti «semplici, divertenti e facilmente accessibili per formare gli studenti ai concetti di base dell’informatica e del pensiero computazionale». 
L’Italia - si legge - sarà uno dei primi Paesi al mondo a sperimentare l’introduzione strutturale nei propri istituti scolastici di questi contenuti «facendo della scuola una leva di innovazione e sviluppo». I corsi sono promossi dal Miur in collaborazione con il Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica (CINI), prevedono lezioni e informazioni messe a disposizione sul sito www.programmailfuturo.it e la presenza di un docente o di un volontario che agisce in coordinamento con il Consorzio: alla fine del corso, verrà rilasciato agli alunni un attestato di frequenza da parte del ministero. 

Un primo passo, che forse non servirà a crescere una generazione di Steve Jobs, ma che dimostra la voglia di tenersi al passo con quelle che sono le iniziative che vengono prese, a livello europeo, nel campo dell’Istruzione, nel tentativo di risollevare lo stato precario della scuola italiana. 
Il governo si auspica che almeno il trenta per cento delle scuole italiane possano essere in grado di aderire al progetto già a partire dall’anno scolastico 2014/2015 e per incentivare la partecipazione garantisce che «i materiali potranno essere utilizzati da docenti di qualunque materia; non saranno necessarie particolari nozioni o abilità tecniche, proprio per rendere questa esperienza accessibile a tutte le classi». 

Il lancio ufficiale sarà a dicembre, nella settimana che va dall’8 al 14, quando si celebrerà a livello mondiale l’Ora del Codice. Miur e Cini invitano per questo le scuole ad avviare in quel periodo le loro attività per poi procedere con il livello avanzato nelle settimane successive. Gli istituti che hanno già aderito negli anni scorsi alle iniziative del Piano della Scuola Digitale del Miur (Scuole 2.0 e Classi 2.0) saranno invitati a partecipare da subito ad una sperimentazione di messa a punto del progetto. 
Una sperimentazione aperta anche ad altri istituti interessati, che dovranno però candidarsi con un’iscrizione su Programmailfuturo.it (entro il 10 ottobre), in modo da partecipare insieme alle altre scuole alla Settimana Europea del Codice (all’11 al 17 ottobre 2014), un’iniziativa del Vice Presidente della Commissione Europea Neelie Kroes per favorire l’avvicinamento di giovani e giovanissimi al pensiero computazionale attraverso la programmazione.

martedì 23 settembre 2014

"Leggere i media". Intervista a Raffaele Chiarulli e Eleonora Fornasari



Quali sono i nuovi media? Perchè sono importanti? In che modo influenzano i giovani al giorno d'oggi? L'abbiamo chiesto a Raffaele Chiarulli e a Eleonora Fornasari  in questa intervista esclusiva per FaesBook.

Che cosa vuol dire “leggere i media”?

Leggere i media vuol dire imparare a decifrare i veri messaggi che la televisione, internet, la carta stampata e tutti i nuovi media passano attraverso i contenuti che ci propongono. Un esempio: quando nel 1990 Beverly Hills 90210 approda sui piccoli schermi americani, l’enfasi sui buoni sentimenti e il trattare temi importanti e attuali, come per esempio l’AIDS, fanno ottenere alla serie premi e riconoscimenti come programma educativo. Il problema è che un programma televisivo, soprattutto una fiction di successo qual è stata Beverly Hills, “educa” (nel bene e nel male) sempre. Mentre racconta, cioè, prendendo le parti di questo o quel personaggio, “passa” al pubblico una visione, un pensiero, uno stile di vita. Non sempre questo è un bene. Dipende da cosa racconta e soprattutto da come lo racconta.
Per ragazzi giovani e alla ricerca di certezze e modelli, la televisione spesso sostituisce le figure adulte di educatori come punto di riferimento, soprattutto rispetto a temi che con i genitori si affrontano poco. Per esempio, sul tema del rapporto tra ragazzi e ragazze, Beverly Hills ha delineato uno schema valido per tutti i successivi teen drama (per teen drama intendiamo le serie televisive dirette espressamente al pubblico degli adolescenti e che hanno gli adolescenti come protagonisti): l’unica preoccupazione in Beverly Hills era passare l’idea che il sesso andasse fatto “protetto”, senza che ci fosse mai spazio per voci e posizioni diverse. Ecco allora che “educare” non basta. Dipende in che modo si educa e a quali visioni del mondo. “Leggere” i media, pertanto, significa non essere passivi rispetto ai contenuti ma essere spettatori critici perché consapevoli.

Quando si dice ‘media’ oggi che cosa s’intende? Quali sono i media del 2014?

Il discorso sarebbe lungo e complesso ma cerchiamo di essere sintetici. Innanzitutto bisogna distinguere tra supporti e contenuti. Quando si pensa alla comunicazione di questi anni, vengono in mente soprattutto i Social Media e tutti i dispositivi tecnologici che in tempi rapidissimi hanno cambiato profondamente le nostre abitudini. I media come dispositivi sono diffusi ormai in qualunque “dieta” della vita quotidiana e la loro presenza si è, per così dire, naturalizzata. Tablet, palmari, smartphone, sono nelle tasche di chiunque e vengono usati in modi e momenti fino a pochi anni fa impensabili. A Milano con un’applicazione dello smartphone si sbloccano i veicoli usati per il car-sharing. Talvolta capita di vedere perfino in chiesa gente che armeggia con qualche aggeggio tecnologico. La vecchina del banco di dietro, naturalmente, guarda storto ma a volte il trentenne sta semplicemente seguendo la liturgia nelle chiese dove non ci sono i foglietti. È un esempio estremo ma serve a farsi un’idea.
Dire ‘media’ oggi significa anche e soprattutto dire “internet” e “social network”. Adolescenti e giovani passano ormai molto più tempo on line che non con i media tradizionali ma qui bisogna fare un distinguo. Molte persone sono “connesse” ma di fatto su internet ascoltano la radio, guardano la tv, leggono i giornali, scaricano film e serie televisive. Anche su Facebook, o su altri network analoghi, spesso ci si scambia canzoni, tavole di fumetti, sequenze di film o di telefilm prelevate da youtube, articoli tratti dai siti dei quotidiani, ecc. I supporti, quindi, diventano via via più sofisticati ma i contenuti spessissimo sono gli stessi di sempre. I sociologi della comunicazione cavillano sul confine che separa l’essere utenti dall’essere spettatori ma in gioco, da sempre, c’è la responsabilità di ciò che si comunica e di come lo si comunica. È qui, partendo dalle radici degli atti comunicativi, che è stato pensato il nostro modulo per le scuole.


Perché è importante oggi saperli leggere?

I media, per la loro stessa struttura comunicativa, modificano profondamente la nostra percezione della realtà e della cultura e nel caso di un pubblico giovane l’influenza è ancora più evidente. Per questo imparare a leggerli diventa di fondamentale importanza. Conoscere le logiche che sottostanno alla creazione dei prodotti culturali, che sono sempre la visione e il punto di vista parziale dei loro autori, può aiutare i ragazzi a non assorbire acriticamente tutto quello che vedono, ma a prenderne le distanze e a contrastarlo con le proprie idee, dove necessario.
La comunicazione è ormai talmente invasiva che un’alfabetizzazione a riguardo è necessaria. È utile avere delle armi di disinnesco, in presenza di comunicazioni volte a tendere dei tranelli (per esempio film che veicolano visioni del mondo negative o ideologiche), o – senza per forza evocare scenari così foschi – è utile semplicemente conoscere le regole di una comunicazione sana per avere relazioni sane con gli altri individui. La natura relazionale di internet, in cui ognuno è autore e lettore di messaggi che circolano continuamente, è sotto questo aspetto un forte richiamo.

In che modo i media influenzano la nostra vita?

Premettendo che, naturalmente, esiste anche un aspetto virtuoso della comunicazione, che funziona secondo logiche simili, notiamo qui che tutti noi quotidianamente siamo bombardati – attraverso i media – da contenuti-spazzatura, stereotipi consolidati, inviti al disimpegno e all’omologazione, distorsioni o visioni parziali della realtà fatte passare come universalmente condivise. Districarsi in questo influsso contenutistico, per trovare ciò che c’è di vero e di bello, è difficile per un adulto. Figuriamoci per un ragazzo. Sempre più spesso accade che i ragazzi, proprio in un’età delicata come la loro in cui il pensiero e la visione sul mondo sono ancora in formazione, fruiscano di programmi ad alto contenuto diseducativo, non pensati per loro, ma per un pubblico già adulto e (forse) più consapevole. Occorre allenare sempre di più questa consapevolezza. L’influenza dei personaggi della televisione sullo sviluppo di adolescenti e preadolescenti è stata molto trascurata nella letteratura passata: fino a cento anni fa le figure che potevano esercitare un’influenza sulla socializzazione e sullo sviluppo dei ragazzi erano ristrette a genitori, parenti, amici e insegnanti. Nel periodo successivo questo dato è stato stravolto dall’avvento dei mass media.
Oggi i giovani sono esposti continuamente a una massiccia quantità di figure, spesso provenienti proprio dal mondo televisivo, capaci di influire e modificare i loro schemi di comportamento, le loro convinzioni e opinioni. Per esempio, per i padroni dei media, l’obiettivo principale spesso è vendere e gli utenti vengono trattati, in quest’ottica, come consumatori. In questa visione, bambini e ragazzi sono la categoria sociale maggiormente presa di mira, perché più sensibili e plasmati dalle mode consumistiche. Con la nascita di serie indirizzate esclusivamente a loro, i giovani diventano un nuovo target da colpire e per cui creare specifici prodotti di consumo. Non è un caso che i teen drama siano terreni di coltura di tendenze e mode: abbigliamento, trucco, rituali, tutto diventa “icona”, cioè modello per milioni di giovani telespettatori, nonché consumatori. Imparare a riconoscere questo tipo di influenza dei media, può aiutare certo a essere più consapevoli e quindi liberi.


Che consigli potete dare per imparare a leggere… tra le righe?

E. Fornasari: Il consiglio che do ai ragazzi, soprattutto per quanto riguarda le serie tv a loro dedicate, è di chiedersi sempre: quanto di me c’è nella storia? Le vite dei personaggi mi rispecchiano davvero? Il mondo è davvero così come viene raffigurato in queste serie? Non bisogna mai dimenticarsi, infatti, che i teen drama, i telefilm per adolescenti, sono sempre e comunque pensati da autori adulti. Il mondo che questi raffigurano spesso non corrisponde alla realtà che vivono gli adolescenti. In molti teen drama, per esempio, la grande assente è la scuola, che invece occupa la maggior parte della giornata di ogni ragazzo. Molta più attenzione è concessa ad altri temi, come il sesso, che diventa una vera e propria ossessione dei protagonisti di queste serie. Lo sforzo da compiere, di fronte a qualsiasi medium, è interrogarsi sempre sui contenuti che ci vengono passati. L’affezione per un personaggio, la risposta emotiva a una storia, spesso producono un effetto di assuefazione rispetto ai contenuti e ai valori veicolati.

R. Chiarulli: Io suggerisco sempre di non accontentarsi mai della prima lettura, di quella più superficiale. Dietro la sceneggiatura di un film (parlando invece di cinema e soprattutto di quello americano, che i ragazzi guardano più di altri), c’è un lavoro di limatura e perfezionamento che dura anni e che coinvolge tante persone. Il risultato di questa sedimentazione di esperienze e idee è talmente perfetto che spesso anche gli spettatori più esperti faticano a cogliere il cuore di un film a una prima visione. I film belli andrebbero visti più volte, esplorati. L’immediatezza del linguaggio audiovisivo fa dimenticare che ogni ritorno sul luogo del delitto porta alla luce nuove tracce.
Faccio un esempio: quest’anno ho fatto vedere Gravity in due scuole. Quasi tutti i ragazzi hanno letto il film come un thriller spaziale pieno di effetti speciali ma vuoto di anima. Ripercorrendo la trama, invece, ho mostrato loro come il film celebrasse la rinascita del senso religioso nell’uomo moderno che ha perso il centro di gravità. Erano sorpresi da questa lettura e interessati ad andare a fondo delle storie che avrebbero guardato da lì in poi.

Di quali argomenti trattate nel corso per le scuole Faes?
E. Fornasari: Il modulo sulla televisione, si concentra sulla visione e l’analisi di alcune tra le serie tv più attuali, con un’attenzione critica particolare al genere del teen drama, da molti definito il “romanzo di formazione” per adolescenti dell’epoca moderna, con tutto quello che tale definizione comporta. Attraverso l’analisi dei personaggi e delle trame, i ragazzi sono guidati a individuare gli elementi narrativi e testuali, utili a decodificare il mondo narrativo di riferimento. Dopo la fase di analisi, chiedo ai ragazzi di mettersi in gioco e di dare spazio alla loro creatività, servendosi di tutti i mezzi che hanno imparato a conoscere attraverso le lezioni teoriche. In gruppi, i ragazzi elaborano quindi una loro idea di racconto seriale da sviluppare in termini di personaggi, temi, ambienti e linee narrative: la cosiddetta “bibbia di serie”, che viene poi presentata davanti a tutta la classe.
R. Chiarulli: Alla Monforte abbiamo guardato insieme la trilogia di Ritorno al futuro, un classico intramontabile. Abbiamo lavorato insieme sulla crescita del personaggio, dall’inizio della saga fino alla sua conclusione, e sullo sviluppo del tema del film. Ho sfidato le ragazze a considerare come il primo episodio della trilogia sia un racconto di formazione in cui il protagonista adolescente impara progressivamente a guardare la propria famiglia con uno sguardo più adulto. Il salto nel tempo è una metafora del salto generazionale che siamo chiamati a compiere quando finisce l’età della spensieratezza. Contestualmente all’analisi del film, abbiamo ragionato sulla funzione dei generi del cinema classico, su come la fantascienza e il fantasy ricoprano il ruolo che avevano in passato il mito e la fiaba. Abbiamo approfittato per raccontare aneddoti e toglierci qualche curiosità su come funziona il mondo del cinema.
All’Argonne abbiamo analizzato due figure di eroe, in Batman Begins e in Argo. Due film diversissimi: il primo è un cinecomic, un film d’avventura tratto da un fumetto; il secondo è il resoconto un po’ romanzato ma nel complesso veritiero di una rischiosissima operazione segreta fatta dalla CIA nella Teheran della crisi del 1979. In entrambi i casi, il protagonista è chiamato a compiere delle scelte rischiose: c’è in ballo l’uso della responsabilità personale.

Qual è la risposta dei ragazzi? A che cosa sono più interessati?

E. Fornasari: La risposta dei ragazzi è stata attiva, positiva e propositiva. Non sono d’accordo con chi dice che i ragazzi, a priori, assorbano acriticamente qualsiasi cosa venga loro proposta. S’interrogano invece con curiosità e se opportunamente stimolati, elaborano pensieri e riflessioni tutt’altro che banali. I ragazzi sono interessati a parlare di ciò che è attuale, di ciò che li riguarda da vicino e in questo le serie tv, con la grande quantità di temi e di spunti che offrono, aiutano di certo la discussione. Per venire incontro ai diversi gusti di maschi e femmine ho scelto serie televisive diverse: più romance e musical per le ragazze, più action e mystery per i ragazzi. Per entrambi ho mantenuto il fantasy, genere esploso negli ultimi anni all’interno del teen drama, come potente metafora dell’adolescenza. Attraverso la figura del supereroe che impara a conoscere e a governare i propri poteri, queste serie ci parlano spesso di come sia importante capire la propria “vocazione”, la propria strada, di come sia necessario riconoscere e accettare i propri talenti, per coltivarli e diventare veramente grandi.

R. Chiarulli: Molto positiva. Alla Monforte abbiamo avuto anche più tempo per conoscerci e creare il giusto clima di fiducia reciproca. C’è stato anche un fuoriprogramma, in una mattina in cui metà della classe era fuori per un’altra attività: abbiamo sospeso il programma per un’ora e, nell’attesa che arrivassero le compagne, le ragazze mi hanno chiesto di parlare della Grande bellezza. Alcune di loro l’avevano visto in televisione e non si erano capacitate dei premi, del clamore. Abbiamo ragionato insieme su cosa fosse quel film, cosa rappresentasse e perché, di fronte agli osanna, piacesse così poco al pubblico. Ho trovato le ragazze molto attente, curiose, protese a capire e a farsi domande.
All’Argonne abbiamo avuto meno tempo per rompere il ghiaccio e qui la collaborazione dei docenti è stata essenziale. Con il professor Bramati abbiamo mostrato ai ragazzi come i racconti cinematografici obbediscano alle stesse regole narrative della letteratura, dei fumetti, della musica... e, quindi, che i mondi del sapere che stanno conoscendo a scuola, in maniera che può sembrar loro frammentaria, sono invece collegati. I feedback dai maschi sono stati meno evidenti ma quando i ragazzi ascoltano in silenzio è un buon segno.

Che bilancio potete far sin qui di questa esperienza con i licei Faes?

E. Fornasari: La mia esperienza è stata fin qui molto positiva. Nella seconda liceo Monforte una delle ragazze ha anche partecipato via web a un paio di puntate della social tv legata al programma per ragazzi di cui sono autrice per Rai Gulp, La tv ribelle. Purtroppo quando è stato il turno dei ragazzi, la trasmissione era già finita, ma sono certa che non avrebbero esitato ad accogliere favorevolmente il mio invito a partecipare. Il messaggio da passare infatti non è quello che la tv sia solo una cattiva maestra. La tv, come ogni mezzo, ha grandi potenzialità espressive. Invitare i ragazzi a “farla”, a prenderne parte può essere un modo, per loro, di sperimentare che la tv può essere anche strumento di approfondimento e riflessione su temi che li riguardano da vicino.

R. Chiarulli: Assolutamente positivo. Ciò che ci preme sottolineare è che questo corso è un esperimento in fieri e siamo contenti di avere riscontri dai ragazzi, dagli insegnanti e dalle famiglie per adattarci sempre meglio, insieme ai tempi che corrono e che cambiano, alle esigenze della scuola. Vorrei concludere ringraziando la dottoressa Chiara Toffoletto, che fino all’anno scorso ha guidato il nostro team e che quest’anno per motivi professionali ha dovuto cedere il testimone, e la dottoressa Maria Chiara De Leonardis, che due anni fa condusse un mini-corso di etica della comunicazione con le ragazze del triennio. 





giovedì 18 settembre 2014

Generazione abbreviazioni!

di Antonio Filigno

Abbreviazioni, acronimi, omissione di parti del discorso, sono le caratteristiche del linguaggio ai tempi della comunicazione globale. Lo spazio va utilizzato in economia e l’unico tempo possibile è il presente, rapido, veloce, effimero.


È giusto ritenere i social network e le chat responsabili della morte del linguaggio corretto? Parrebbe proprio di sì. Recentemente, l’Università di Manchester ha effettuato uno studio prendendo in esame ragazzi dai 18 ai 24 anni e verificando la loro capacità di scrittura. Sono emersi dei dati preoccupanti. Pare che il 22% degli intervistati (un dato non di poco conto) abbia ammesso di avere delle difficoltà a scrivere correttamente un testo senza avvalersi del correttore ortografico o un dizionario. La spiegazione per cui così tanti ragazzi commettano errori (anche gravi) di scrittura, sta nell’uso eccessivo delle abbreviazioni e dello slang tipico delle chat e dei social network. 

Nel mondo delle chat la comunicazione avviene attraverso la parola scritta e viene penalizzata dalla lentezza della rete e dalla difficoltà di far comprendere all’interlocutore il nostro stato d’animo, con conseguente fraintendimento tra le parti. Nel tempo, il linguaggio delle chat si è arricchito di moltissime espressioni e acronimi che, se da un lato hanno contribuito a renderlo più veloce e più efficace dal punto di vista della comunicazione, dall’altro penalizzano la lingua perché decade l’esigenza di attenersi alle regole della grammatica e dell’ortografia. 

Alcune espressioni addirittura sono entrate nel linguaggio comune, una su tutte: “ti taggo”. L’aspetto più negativo è dato dall’effetto che queste distorsioni linguistiche hanno sulle generazioni di bambini nati nell’era del computer e di internet: il loro scrivere “scorretto” si è trasformato da un vezzo alla norma. 

Nei paesi di lingua anglosassone il linguaggio delle chat è diventato quasi una nuova lingua, a volte incomprensibile per chi non è abituato a comunicare attraverso di essa. Le abbreviazioni (di tre o più lettere) di frasi e parole, permettono una digitazione più veloce riducendo i tempi di attesa in chat. Sono usati soprattutto nella lingua inglese, che è anche l’idioma più usato tra i chatters di tutto il mondo.  

Chissà, forse abbiamo sottovalutato la cosa, ma questa forma di linguaggio ha ampiamente sconfinato nel linguaggio comune, soprattutto quello giovanile. Le abbreviazioni e le faccine, meglio note come emoticons, vengono utilizzate in ogni comunicazione che implichi una scrittura veloce. 

I ragazzi si identificano in questo modo di comunicare e ne sono protagonisti. L’uso e la comprensione del linguaggio segna l’appartenenza ad un gruppo, che non è più la semplice comitiva di amici o di compagni di scuola ma quella del villaggio globale.

lunedì 15 settembre 2014

Genitori e figli... si riparte!


Si parte, e il cammino sarà lungo, ma ricco di emozioni... E, proprio come prima di intraprendere un viaggio, che non si sa dove ci porterà, come sarà, o con quali mezzi avverrà, è questo il momento in cui si "mettono in valigia" una vasta gamma di emozioni che rendono spesso complicata l’ “accensione dei motori”.
La scuola occupa un posto di rilievo nella vita dei bambini e delle famiglie, è luogo dove si riversano grandi aspettative e dove inevitabilmente si riversano anche ansie e timori.
Infondere quindi entusiasmo per far sentire la voglia di tornare tra i banchi di scuola. Questo il compito per settembre dei genitori. Il ritorno a scuola non deve essere un momento fonte di stress per bambini e ragazzi dopo la fine del riposo estivo. Bisogna 'accendere' nei figli la voglia di tornare sui banchi di scuola con la giusta passione, mettendo da parte paure e angosce.
Ecco una lista di possibili suggerimenti da utilizzare:
  • Ripristinare un corretto ciclo "sonno-veglia"già nei giorni precedenti la ripresa scolastica.
  • Riprendere una corretta alimentazione
  • Adottare un atteggiamento che infonda entusiasmo nell'affrontare la ripresa scolastica: sottolineare ad esempio la gioia nel ritrovare i compagni, nel riprendere attività ludiche e piacevoli...
  • Incoraggiare i bambini verso l' autonomia, sia nel vestirsi che nel nutrirsi, ad esempio.
  • Ove possibile, prevedere delle visite alla scuola, o nei dintorni, per rendere famigliare l' ambiente al bambino, soprattutto se è la prima volta che entra a scuola.
  • Per ridurre lo stress e l'ansia, è giusto organizzarsi la sera prima (anche durante l'anno), preparando, insieme al bambino, lo zaino e gli abiti.
  • Soprattutto per il primo giorno è bene accompagnare i figli a scuola, lasciando scegliere, ai più grandicelli se questo è di loro gradimento, perché potrebbero aver voglia di dimostrarsi autonomi di fronte ai compagni.
  • Parlare apertamente dei propri stati d'animo, condividendoli con quelli dei bambini.
Buon anno scolastico a tutti!