mercoledì 29 ottobre 2014

La lezione di Lisa Simpson

di Marta Serafini

Nell’episodio «Le ragazze vogliono solo sommare», Lisa Simpson chiede al preside Skinner: «Non è sbagliato non poter ricevere un’istruzione matematica perché sono donna?». Tornata a casa la piccola Lisa rivolge la stessa domanda alla madre Marge che ricorda i bei tempi in cui da ragazza si applicava allo studio degli integrali. «Poi è arrivato Homer e non sono stata più in grado di fare calcoli. Ma questo a te non succederà», racconta la mamma alla figlia. 

Lisa, in realtà, non ha bisogno di molti consigli. E’ sempre stata una ragazzina sveglia. Femminista, liberale, ambientalista, illuminata. Da quando è nata a Springfield, 25 anni fa, ne ha fatta di strada. Così tanto che oggi Newsweek la celebra come la paladina dell’istruzione e della scienza al femminile. «Lisa è un grande modello soprattutto perché alla prima occhiata non lo sembra», ha spiegato Suw Charman-Anderson, creatrice dell’Ada Lovelace Day che ha l’obiettivo di promuovere le materie Stem (Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) tra le donne.

Lisa insomma è una di noi, perché è solo una delle tante ragazzine di oggi che, pur avendo interesse per le scienze, si sentono rispondere «piccola, lascia stare quella è roba da maschi». Le ragazzine però sono toste e non ci stanno.
Perché sanno bene che mentre il tasso di donne che si iscrivono a corsi di studio scientifici cresce a ritmo esorbitante (negli Usa è al 57,1 per cento) il loro ingresso nel mercato del lavoro rimane del tutto incoerente con la loro formazione. 

Il rischio però è di diventare delle nerd con gli occhiali dalle lenti spesse, come se dedicarsi alle scienze voglia dire per forza rinnegare la propria femminilità e creatività. Per studiare matematica Lisa è costretta a travestirsi da uomo, deve fare a botte per entrare a far parte del gruppo rinnegando quello che in cui crede. Un po’ come la matematica francese Marie-Sophie Germain che a cavallo tra Settecento e Ottocento si trovò a dover lavorare sotto lo pseudonimo maschile di Antoine-August Le Blanc per non essere esclusa dagli ambienti accademici.

Per aggirare il problema però basta andare all’origine. Secondo Chiara Burberi, un passato da manager, «se da piccola ti senti ripetere tutti i giorni che la matematica è una cosa da maschio, è difficile che te ne interessi». Uno spunto di riflessione da cui partire perché, come raccontano molte ragazze, i genitori e l’educazione hanno un ruolo fondamentale nel percorso di studi che si andrà scegliere. 


Per gli esperti, infatti, gli stereotipi di genere si formano a quattro anni. Le bambine imparano che materie come l’ingegneria e la tecnologia sono prettamente maschili, mentre le femmine sono più portate, per esempio, all’insegnamento nelle scuole. Il tutto tagliandosi fuori da un mercato del lavoro redditizio come quello dell’informatica e della programmazione. Mentre basterebbe essere consapevoli che di fronte al sapere non ci sono differenze di genere.

lunedì 20 ottobre 2014

Social network, in arrivo anche in Italia l’educazione digitale

di Valentina Santarpia, da corriere.it


Portare Facebook e Twitter a scuola significa avere una classe di ragazzi e ragazze distratti dai propri smartphone? Niente affatto, perché social network non va confuso con socializzazione, e esistono almeno dodici modi giusti che i docenti possono adottare per usare in maniera proficua le piattaforme digitali in classe. 
E’ questa la tesi sostenuta su Edutopia, un sito Usa dedicato all’educazione, da Vicky Davis, un’insegnante americana esperta di nuove tecnologie. Il decalogo della Davis, tra il serio e il faceto, stimola i docenti a «ricordare che siamo nel 21° secolo» e che è inutile continuare a predicare che è necessario aiutare i bambini a superare il gap digitale, se poi gli insegnanti non sono i primi ad essere disposti a comunicare online. «I social media sono qui, sono solo un’altra risorsa e non una distrazione dalle materie di insegnamento», spiega la curatrice dell’articolo, snocciolando consigli. Qualche esempio? «Twitta o posta degli interventi a nome della classe», oppure «Usa i social network per connetterti alle altre classi», o ancora «Crea un account twitter per un progetto speciale», o «Usa Youtube per pubblicare una presentazione o un’esibizione dei tuoi studenti». Tutti esempi validi per la scuola statunitense, che è all’avanguardia nell’uso del digitale. 
Ma in Italia, a che punto siamo? Secondo il decimo rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione, il 90,3% dei giovani a partire dai 14 anni utilizza Facebook e il 54,8% possiede uno smartphone. Eppure, da uno studio realizzato dalla rete dell’istruzione europea, Eurydice, l’Italia è uno dei pochi Paesi che non ha previsto alcuna forma di insegnamento relativo all’educazione digitale a livello di scuola primaria e secondaria.

Un gap che potrebbe essere risolto a breve: è stata appena depositata una proposta di legge che punta proprio a introdurre nelle nostre scuole «l’insegnamento di educazione e cittadinanza digitale», con tanto di individuazione di un «docente educatore digitale» individuato nell’ambito del collegio dei docenti, che collabori con tutti gli altri insegnanti a realizzare progetti digitali nell’ambito delle proprie materie. Una sorta di tutor, che stimola gli altri docenti meno preparati o motivati nel settore informatico a usare gli strumenti tecnologici moderni per arricchire e integrare i propri insegnamenti, rendendoli più adeguati al mondo moderno.

La legge dovrebbe servire a dare un approccio digitale nazionale ad un Paese come il nostro che invece, sul digitale, viaggia «a due velocità», come spiega Caterina Policaro, insegnante in un istituto tecnico agricolo di Potenza ma soprattutto formatrice di docenti sul fronte digitale e attivissima blogger. «Ci sono scuole attrezzatissime, che usano Facebook, molto meno Twitter, per affiancare i siti istituzionali e presentare le iniziative della scuola, per fare orientamento, per condividere le esperienze. Poi ci sono le scuole dove, grazie a docenti illuminati, si usano social network chiusi, come Edmodo, oppure Moodle, per fare esperienza didattica: in questo caso si riesce a diversificare la lezione usano il social come piattaforma virtuale dove insegnanti e studenti lavorano insieme a progetti e si scambiano in tempo reale pareri e informazioni. Ma poi ci sono anche le scuole assolutamente legate alla burocrazia, ai vecchi modelli tradizionali, dove il digitale è visto come un mondo lontano e complesso». La solita Italia spaccata in due, insomma, dove però stavolta non è la linea geografica a segnare il confine, ma la volontà e la preparazione culturale dei presidi e dei docenti.

«Negli ultimi due anni la situazione sta migliorando, grazie anche alle novità introdotte sulla possibilità di adottare i libri digitali, ma soprattutto perché i social network stanno diventando parte della vita di tutti noi: gli insegnanti finalmente stanno passando dal punto di vista dell’osservatore- di abitudini giovanili- a quello dell’utilizzatore- di uno strumento che può aiutare la condivisione col resto del mondo». Certo, quando un prof vede arrivare sulla propria pagina Facebook la richiesta di amicizia di uno studente o una studentessa, può trovarsi in imbarazzo: «Non è questione di vietare o non vietare relazioni di amicizia su Facebook tra docenti e alunni- spiega Policaro- E’ questione di capire come dovrebbero rapportarsi i docenti in una relazione in primis sociale, poi didattica, che include, a qualunque livello, anche i social network e quindi l’interazione online attraverso mail, chat, social network ecc. Io sono dell’idea che un docente debba operare sempre secondo ben precisi standard comportamentali e presentarsi quindi sempre all’esterno come professionista dell’educazione e quindi modello per i ragazzi. Aggiungo: ed essere sempre se stesso. In classe, come online».

Quando comincia l’uso dei social network a scuola? 
L’utilizzo più massiccio riguarda le scuole superiori: anche se a volte si comincia un po’ prima dei tredici anni, mentendo sull’età, sono i ragazzi tra i 13 e i 18 anni i maggiori utilizzatori, e quindi le scuole superiori quelle dove si svolgono gli esperimenti più interessanti e avanzati.


Di fronte a tanta vitalità, però, ci sono ancora tantissimi punti deboli: «I social potrebbero essere usati molto meglio- spiega Elena Pacetti, ricercatrice in Didattica e Pedagogia speciale del Dipartimento di Scienze dell’Educazione Università di Bologna- Negli altri Paesi ci sono molte altre esperienze, abbiamo ancora tanti margini di miglioramento per mettere in comune le nostre conoscenze e uscire dalla logica della scuola tradizionale. I nodi critici? L’alfabetizzazione degli insegnanti, che dovrebbero essere istruiti per capire limiti e potenzialità dei mezzi. E poi il fattore tempo, che spesso frena il cambiamento: come ho scritto in diverse ricerche, per poter far crescere l’uso dei social a scuola, i docenti devono dedicarvi tempo, non possono liquidarli sostenendo che non fa parte dei loro compiti. Al giorno d’oggi, i ragazzi sono sempre connessi, i social network fanno parte della propria quotidianità, ed essere on line come educatori fa la differenza».

lunedì 13 ottobre 2014

Faes: Sportello Primaria Informa


Il passaggio dalla Scuola dell’infanzia alla Scuola primaria è un passaggio delicato per i nostri bambini. L’ingresso alla Scuola Prima coincide per il bambino con il completamento di un processo di crescita che lo porta al passaggio da un mondo soggettivo a una realtà oggettiva governata da regole condivise, in cui dovrà compiere uno sforzo di adattamento, adeguandosi a ciò che la nuova realtà gli richiede.
E’ un po’ come uscire dal confine protetto della propria casa, da solo, con il proprio bagaglio di esperienze costruite nei 5 anni precedenti e avventurarsi verso un mondo nuovo, verso la crescita, verso la vita, con le sue sfide e i suoi rischi.
Un nuovo percorso è sempre carico di emozioni, anche e forse soprattutto per i genitori che per la prima volta vedono il proprio bimbo, la propria bimba su di un sentiero nuovo.

Per aiutare i genitori a sciogliere tutti i dubbi e le domande su questo tema e per individuare per ciascun figlio la strada più adatta perché questo passaggio sia il più educativo possibile, gli insegnanti delle Scuole FAES sono disponibili a rispondere a tutti i vostri quesiti.

Per appuntamenti potrete contattare le segreterie Argonne o Monforte: 02 2668671.

info@faesmilano.it

giovedì 9 ottobre 2014

Faes e Oeffe: una sinergia dedicata ai genitori

La mamma di Simona, 12 anni, si domanda "dov'è finita la nostra splendida bambina?"
Paola e Anna ai giardinetti si confidano le preoccupazioni che nutrono sui loro piccoli, compagni alla scuola dell'infanzia. 
Valentina, 15 anni, sconvolge tutti durante un pranzo di famiglia dicendo davanti a nonni, zii e parenti vari che da grande vuole fare la velina. 
I genitori di Martina chiedono aiuto disperati ad un’educatrice del nido per capire come gestire i terribili capricci della loro bambina. 
Nora non sa bene come rispondere alle domande di Anna, 6 anni, incuriosita dal prossimo arrivo di un fratellino.
Sono alcune delle situazioni, piuttosto normali e quotidiane, descritte nei casi utilizzati nei corsi di Orientamento familiare che una ventina di Associazioni presenti in tutta Italia e riunite nella Conferenza permanente Sistema Famiglia propongono ai coniugi e ai genitori che desiderano migliorare le loro capacità educative e la loro relazione di coppia.
I corsi sono vari, due per i coniugi che vogliono migliorare e rendere sempre più saldo e felice il loro matrimonio, altri sei su tematiche educative secondo le fasce di età dei figli, dalla nascita all’adolescenza, e due per giovani professionisti non ancora sposati che stanno affrontando le scelte importanti della vita.
Perché si utilizzano dei casi? Per favorire il confronto fra i partecipanti su situazioni che sono sempre reali, ma che non li coinvolgono personalmente ed emotivamente e per insegnare un metodo utile per affrontare ciò che accade in famiglia a partire dai fatti e non dai giudizi, o peggio, dai pre-giudizi, tipo il frequente "sei sempre il solito....", che andrebbe assolutamente e comunque evitato.
E poi, perché il metodo del caso favorisce la partecipazione di tutti, e la partecipazione è l’elemento chiave dell’Orientamento familiare. Non lezioni, non conferenze, ma un aiuto a riflettere insieme su che cosa è meglio per noi e per tutta la nostra famiglia, con alcune tematiche ricorrenti, ma adattate alle diverse fasce di età dei nostri bambini e ragazzi: come si elabora un progetto educativo per ogni figlio (dato che non ce ne sono due uguali, anche se sono entrambi nostri!), se va ancora bene l’autorità e che cosa vuol dire essere autorevoli oggi, l’educazione dell’affettività, lo studio, la gestione dei capricci dei più piccoli (ma in modo diverso anche dei grandi), la strada verso l’autonomia, il tempo libero e le nuove tecnologie.
Nei corsi per coniugi invece si parla di relazione, delle differenze tra uomo e donna nel comportamento, nel linguaggio, nella sfera emotiva - quelle differenze che spesso non sono conosciute e rendono più complessa la vita quotidiana - dell’armonia da ricercare tra famiglia e lavoro, della comunicazione ecc.
Ogni modulo prevede quattro momenti: prima la lettura personale del caso e di una nota tecnica inerenti l’argomento della sessione, poi uno scambio di idee fra marito e moglie, che non è sempre facile da fare nelle nostre giornate convulse (e magari così poi si prende o si riprende l’abitudine a dialogare su di noi e sui nostri figli...).
Il terzo passaggio, che tutti dicono essere il più divertente, è la discussione in piccolo gruppo, dove si comincia ad esaminare il caso e a tirar fuori i primi problemi che presenta; si svolge in un ambiente familiare e simpatico, nelle case dei partecipanti, ma perché no in un bar o, nella bella stagione, alla domenica seduti su un prato, mentre i bambini giocano.
Per finire, l’ultimo incontro di ogni modulo prevede una sessione generale, guidata da un moderatore esperto della tematica che si va ad affrontare: anche questo momento è sempre vivace, animato e piuttosto divertente, quando tutti i piccoli gruppi si confrontano sull’analisi dei fatti, espongono i problemi emersi – e sempre ne saltano fuori di nuovi - , si abbozzano le soluzioni al caso (cosa direste a quella coppia descritta nel caso, se fossero amici vostri?) e alla fine emergono le conclusioni più generali, i criteri sull’argomento che è stato affrontato da mettere in pratica nella vita di ogni giorno da ognuno dei presenti.
Il tutto è abbastanza dilazionato, un modulo al mese più o meno.
Una realtà solo italiana? No, tutt’altro. I corsi si tengono in una cinquantina Paesi dei cinque continenti e fanno capo all’IFFD (International Federation for Family Development), una ONG in stato consultivo presso l’ONU; IFFD si preoccupa del contenuto dei Corsi tramite tre Comitati tecnici per diverse aree linguistiche e culturali e di sostenere il lavoro nei vari Paesi con la formazione iniziale e il costante riferimento di supporto. Anche l’Italia ha partecipato a qualcuna di queste avventure, perché alcuni nostri moderatori hanno contribuito all’inizio dei corsi in Slovenia e in India.
Oeffe, l’Associazione di Milano, è responsabile per la formazione per tutta l’Italia: ha quindi attivato un proprio Comitato scientifico e da 6 anni collabora con un consorzio di quattro Università per lo svolgimento di un corso di perfezionamento online per la formazione dei moderatori. Questa esperienza è stata presentata recentemente in Germania ad un Convegno sulla formazione dei family counselors, in cui Oeffe ha rappresentato il Forum delle Associazioni familiari, di cui fa parte.
Oeffe collabora con il FAES di Milano per la formazione dei genitori e anche quest’anno abbiamo attivato alcuni corsi, ecco il dettaglio dei primi appuntamenti:

Per i genitori AURORA:
"Chi sei, chi diventerai: le caratteristiche dell'età"
Sabato 18 ottobre alle ore 9:30 presso la scuola FAES Argonne di via Fossati 2/a. Durante gli incontri è previsto un servizio di babysitting

Per genitori di figli in 3ª secondaria
"La mia autorità, la sua libertà: una sfida da vivere si terrà Lunedì 13 ottobre alle ore 20:30 presso la scuola FAES Argonne di via Fossati 2/a.

Per genitori di figli in 2ª e 3ª Liceo
"L'uso del tempo libero, opportunità e rischi della rete" si terrà Sabato 18 ottobre alle ore 10:00 presso la scuola FAES Argonne di via Fossati 2/a.

Giorgio e Carmen Tarassi



mercoledì 8 ottobre 2014

Hai mai provato il tinkering?


Le prime classi del Liceo Scientifico Argonne e Monforte lo sperimenteranno in ottobre al Museo della Scienza e della Tecnica

A volte si fa un uso inutile di anglicismi. In questo caso è indispensabile. Perché la parola «tinkering», che si può tradurre con «armeggiare» o «trafficare», non ha un preciso corrispettivo in italiano.
Che cos’è il tinkering? Tinkering è un laboratorio, un ambiente, un metodo, un modo di sperimentare la scienza attraverso attività di costruzione che valorizzano la creatività, l'indagine e l'esplorazione basandosi sulle capacità e le conoscenze di ciascuno.

All’interno di questa proposta del Museo della Scienza gli studenti delle prime Liceo Scientifico parteciperanno al laboratorio interattivo "I robot matematici"
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Un robot può disegnare un quadrato? Un esagono? 
La matematica ci aiuta a controllare i robot e i robot ci aiutano a ragionare sulla geometria.
 Questo verrà svolto mediante il percorso sperimentale "tinkering",
 uno spazio dedicato a un modo diverso di sperimentare la scienza e la tecnologia: un luogo dove si lavora, là dove scienza, arte, ingegneria e design si fondono per far emergere in ciascuno idee nuove attraverso la realizzazione di oggetti funzionanti, dispositivi, piccoli marchingegni.
Le attività di Tinkering usano oggetti di diverso tipo ad esempio motori, circuiti, tubi, lampadine, campanelli, interruttori, ruote, ingranaggi, leve, spine, cestelli, utensili e una miriade di materiali come plastiche, carte, legno, film metallici, fili, piume e tante tante altre cose.

Nel progetto  Tinkering  si sperimenterà anche come:
  • costruire oggetti di diverso tipo ad esempio cose che volano, girano, disegnano, si illuminano;
  • smontare e reinventare apparati tecnologici;
  • creare meccanismi e sistemi che funzionano;
  • riusare cose e materiali per nuovi scopi;
  • cambiare le idee e le proprie conoscenze a partire dall’esperienza diretta e costruirne di nuove su quelle precedenti;
  • intraprendere un progetto personale.

Per maggiori informazioni sul programma tinkering:

mercoledì 1 ottobre 2014

Festeggiamo i nostri nonni!

Ogni famiglia è come un albero, alle cui radici troviamo proprio loro: i nostri nonni. Nel 2005 lo Stato italiano ha ufficialmente introdotto la Festa dei Nonni” che si celebra il 2 ottobre. 

Una giornata per ringraziare coloro che, ancora oggi, ricoprono un ruolo chiave nella famiglia italiana. 
Per quanto i tempi siano cambiati e i nuclei familiari siano sempre più sparpagliati per il mondo, nel nostro paese i nonni sono ancora i ‘secondi genitori’ per tantissimi bambini, sono le tate che come compenso chiedono solo la gioia di trascorrere del tempo con i nipoti. 

In Italia sono ben 11.500.000 i nonni, di cui il 70% fa il nonno-sitter a tempo pieno, senza contare tutti quelli che durante ponti e festività si incaricano di accudire i bimbi mentre i genitori si godono un giorno o due di vacanza. 
Diverse centinaia di euro l’anno risparmiate dalle famiglie e milioni di tonnellate d’amore per i bimbi, connubio che mantiene ancora saldo il legame con i cardini, i fulcri del parentado che sono i nonni.

Custodi di ricordi e aneddoti che non devono andare perduti, rappresentanti delle generazioni che hanno vissuto tutto un altro mondo rispetto al nostro, e ancora di più rispetto a quello dei bimbi di oggi. 


Quale regalo può essere all’altezza di un angelo custode? Non serve un oggetto dispendioso, ma piuttosto carico di valore simbolico, come una pianta o un fiore, emblemi della vita, dell’energia, della gioia. Sono proprio le piante e i fiori i simboli della Festa dei Nonni, angeli custodi per eccellenza che con il loro amore infinito, la loro saggezza, la loro bontà contribuiscono tantissimo alla crescita dei bambini. 

Oppure cominciate con il dedicare loro gran parte della vostra giornata: potete portarli a fare una bella passeggiata, se il tempo è clemente, oppure organizzare per loro un bel pranzetto o una cena in famiglia. Ne saranno molto contenti. Ma anche  trascorrere semplicemente un po’ di ore ascoltando i loro racconti di quando erano giovani.